ROBOCOP di Josè Padilha

Vivo o morto, tu verrai con me.
Eh? Quante volte voi maschietti avete recitato queste parole da piccoli? Centinaia nel più modesto dei casi. Ci si sentiva dei piccoli fighi, non è così? Tosti come quel robottone con la visiera a striscia che strizzava l'occhio (eheh) alla luce rossa incastonata nel cofano di “Kit”. Che filmone “Robocop”, un gigante degli anni 80 che ha segnato l'infanzia cinematografica di moltissimi di noi. Molto probabilmente il cyborg più famoso di sempre, una rielaborazione in chiave fantascientifica del mito della fenice: l'agente Alex Murphy viene selvaggiamente trucidato in servizio da una banda di criminali senza scrupoli, ma gli scienziati del suo tempo sono arrivati così in alto che ormai raschiano sotto il pavimento del paradiso, e riescono a riportarlo in vita donandogli un corpo robotico grazie al quale potrà non solo continuare a vivere, ma anche servire la Legge meglio di quanto avesse mai potuto sperare di fare da semplice essere umano.
E' passato troppo tempo da quando ho visto l'ultima volta questo film, pertanto non vogliatemene se non ricordo una beneamata cippa di come fosse costruita tutta la vicenda nel dettaglio, per esempio di come l'uomo e le persone a lui più vicine vivessero questo radicale cambiamento, o di come fosse la società nella quale egli si muoveva. Le uniche cose che ricordo con chiarezza sono il cannone gigantesco che veniva fuori dalla sua coscia e il suo acerrimo nemico, il robottone con la testa ad Alien e gli enormi mitragliatori rotanti *__*
Tutto questo per dire che non ho le basi per fare un confronto tra l'originale del 1987 e il suo remake del 2014. Parlerò di Robocop 2.0 come film a se stante, e parto subito dicendo che m'è piaciuto, cacchio! Molto più di quanto mi aspettassi. Mi ero fatto un'idea diversa, il poco parlare di questa pellicola che avevo captato aveva creato in me l'opinione che si trattasse dell'ennesimo remake fuffa, da poter mettere direttamente nel dimenticatoio. Ed invece, come spesso accade, non avevo capito na mazza, a cominciare dal fatto che il cast conta tre pezzi da 90 del calibro di Samuel L. Jackson, Gary Oldman e Micheal Keaton, mica Qui-Quo-Qua! Il regista, invece, era per me un assoluto sconosciuto, il brasiliano Josè Padilha, ma una rapida wikipeddiata mi ha permesso di sapere che l'amico ci sa fare visto che ha vinto un orso d'oro al Festival di Berlino nel 2008, ed è stato ad un passo dal portare un suo film agli Oscar nel 2012.

Il film parte benissimo, con un fiammeggiante Jackson nelle vesti di un presentatore televisivo “appena-appena” nazionalista e dal temperamento particolarmente focoso, che ci introduce subito il tema cardine della storia, ovvero l'utilizzo dei robot nella gestione della sicurezza civile, mostrando il loro utilizzo nelle missioni militari in territorio straniero. Insomma, il tempo passa e i peli cadono, ma i vizi son sempre gli stessi. L'America pretende come sempre di imporre la “pace” nei paesi dove ritiene che essa latiti, ma è stanca di perdere caterve di vite umane nello sforzo, e per questo si è affidata a robot umanoidi che fanno il lavoro sporco, compreso beccarsi gli abbracci calorosi dei kamikaze (altro, stramaledetto vizio duro a morire). E già qui il film mette in chiaro che non ci andrà giù così leggero come sarebbe lecito aspettarsi, mostrandoci uno scenario Orwelliano dove i civili devono subire dei controlli obbligatori da parte dei robot che setacciano la popolazione in cerca di minacce, e dove il freddo calcolo della macchina non conosce sfumature tra il bianco di un pericolo inesistente ed il nero di uno potenziale. Nel primo caso non vi è alcun problema, nel secondo si, e la soluzione è una sola. Nessuna titubanza, nessuna paura né scrupolo, nemmeno un tentativo di risolvere la cosa in un modo che non preveda l'utilizzo di una pallottola. Le macchine di questo mondo non conoscono la diplomazia, pertanto se sei armato tutto il resto non conta, età, sesso, razza, reale entità del pericolo che rappresenti. Sei morto.
Eccolo il contrasto attorno al quale ruota tutto il film: la perfezione inanimata e della macchina contrapposta alla coscienza umana. Si perché c'è un'America spaccata in due, da una parte chi vorrebbe che questi robot fossero utilizzati anche per la sicurezza nazionale, e dall'altra chi invece ritiene inconcepibile rimettere la vita di un uomo al giudizio anaffettivo di una macchina. Così la O.C.P., la mega multinazionale produttrice dei robot decide di trovare una soluzione che possa mettere d'accordo tutti, e al tempo stesso far affluire nelle sue casse i fiumi di dollari bloccati dalla diga innalzata da una legge che ne vieta l'uso sul suolo nazionale: mettiamo un uomo dentro una macchina.
Il tentato omicidio di Alex Murphy procurerà la “materia prima” con la quale il genio interpretato da Oldman creerà un miracolo di tecnologia, e i risultati verranno mostrati in una scena di grande impatto emotivo, nella quale il nuovo corpo robotico dell'agente Murphy verrà smembrato dinanzi ai suoi (e ai nostri) occhi, rivelando quanto di veramente umano è rimasto.
Un cazzotto in pieno stomaco fa meno male.
Il secondo tema della pellicola emerge qui chiaramente, mentre osservi i polmoni, il cuore ed il cervello di quest'uomo sospesi in aria come gli organi interni di un manichino di anatomia: l'etica applicata alla scienza, il fine vita, l'accanimento terapeutico, l'eutanasia. Vi assicuro che mi ha toccato veramente questa scena, facendo riaffiorare quelle domande alle quali la società fatica a trovare una risposta: fin dove è lecito spingersi per la scienza? Cosa possiamo sentirci in diritto di fare pur di salvare una vita? Potremo mai arrivare ad un punto come quello mostrato nel film, il cervello umano trattato alla stregua di un hard disk da prendere e spostare da un corpo all'altro a seconda dell'esigenza? Interrogativi come questi non sono materia comune in film d'azione, eppure qui ci sono, anche se devono dividere la sedia con sparatorie da videogame. Chiaramente il tema non è sviscerato come meriterebbe, siamo pur sempre dinanzi ad una pellicola di fantascienza e azione, eppure il regista brasiliano riesce attraverso un sapiente uso delle immagini a farci arrivare il concetto con forza. Grande importanza viene data anche alla sfera psicologica del protagonista, che dopo essere uscito di casa per spegnere l'allarme della sua auto, si risveglia in un laboratorio sconosciuto, circondato da sconosciuti, e con un nuovo fiammente corpo robotico. Il quadrilatero che si creerà tra lui, lo scienziato filantropo Oldman, il magnante senza scrupoli Keaton, e la moglie innamorata Cornish sarà il palco sul quale si alterneranno molte facce di quel diamante che è l'animo umano. Non siamo ai livelli poetici di "Quasi amici", ma ehi non si può avere tutto dalla vita.

Per assurdo sono proprio le parti di azione quelle che ho trovato meno convincenti, con sparatorie poco originali e piatte (a parte nel finale contro le sentinelle robot che sembrano tanto dei cuccioli di Metal Gear). La regia e il montaggio sono a tratti molto gani, come nel resoconto dell'agente Murphy sull'indagine svolta da lui e il suo collega in stile Sin City, e danno alla pellicola un taglio che ricorda molto da vicino i film di quegli anni. E a proposito dell'attore principale direi che è da promuovere, nonostante la faccia lo farebbe stare meglio nella parte di un tossico.

Che dire insomma, un buon film che riesce a stupire trattando con grande cura temi molto delicati, ma che non convince fino infondo lì dove dovrebbe dare il meglio per la sua stessa natura.

Voto 7,5

Sei del colore giusto adesso.”

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